La dedicazione di una chiesa

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La dedicazione di una chiesa è un rito risalente all’epoca dell’imperatore Costantino, quando con il suo editto sulla libertà religiosa (anno 313) permise ai cristiani di uscire dalle catacombe o dalle case private, e di costruirsi edifici sacri adibiti al proprio culto. L’avvenimento è descritto dallo storico Eusebio di Cesarea, vissuto nel IV secolo, con queste parole: «Ebbe luogo uno spettacolo da tutti auspicato e desiderato: feste di dedicazione in ogni città, consacrazioni di chiese di nuova costruzione, riunioni, a questo scopo, di vescovi, concorso di genti da regioni lontane e straniere, sentimenti d’amicizia di un popolo verso l’altro, unione delle membra del corpo di Cristo in una sola armonia di partecipanti». Gratitudine, festa, partecipazione di tutto il popolo: sono i sentimenti che hanno guidato non solo le dedicazioni ma il ricordo dei loro anniversari.

La cerimonia antica era costituita dalla celebrazione eucaristica. Successivamente essa si è arricchita di numerosi riti. L’odierno rituale (Ordo dedicationis ecclesiae et altaris), del 1977, è nuovamente centrato sull’eucaristia, con l’inserimento di alcuni riti simbolici: l’aspersione lustrale (segno di penitenza e del battesimo), la deposizione di reliquie dei santi sotto l’altare (divenuta facoltativa), l’unzione con il crisma dell’altare e delle pareti della chiesa, l’incensazione, l’illuminazione dell’edificio (segno di festa e della luce di Cristo). Suggestiva è la “preghiera di dedicazione” recitata dal vescovo, che invoca la benedizione divina: «Qui la santa assemblea celebri il memoriale della Pasqua […]. Qui salga a te incessante la preghiera per la salvezza del mondo […]. Qui il povero trovi misericordia, l’oppresso ottenga libertà vera e ogni uomo goda della dignità dei tuoi figli, finché tutti giungano alla gioia piena nella santa Gerusalemme del cielo».

Il calendario liturgico, personalizzato secondo le varie diocesi, prevede una festa dedicata al giorno anniversario delle chiese già consacrate, cattedrali e parrocchie. È l’occasione per ringraziare del dono ricevuto, frutto del lavoro e della fede dei padri, e per meditare sul mistero del tempio.

Questa memoria ispira almeno tre riflessioni.

 

1) Innanzitutto, paradossalmente, che Dio è presente ovunque. Egli non ha bisogno di un tempio di pietre per essere vicino agli uomini, è il Signore del cosmo e l’universo intero è la sua casa. Quando Israele era un popolo nomade non aveva templi, ma una “tenda” (hekal) che si ripiegava e si spostava, come le altre tende della tribù. Confidavano in un Dio pellegrino, che lasciava le sue orme sulla strada percorsa dal popolo. La costruzione di un tempio non deve far pensare che imprigioniamo Dio, ma è il segno che egli abita in mezzo a noi.

2) La seconda riflessione porta a ricordare che il tempio cristiano è Cristo. Gesù stesso lo dice nel noto episodio della cacciata dei mercanti dal tempio (Gv 2,13-22). Il significato teologico di un una chiesa-edificio proviene dal fatto che al suo interno si ascolta la parola di Cristo e si celebra il suo mistero pasquale. Un rito antico prevedeva l’incisione sul pavimento della nuova chiesa di alcune lettere greco-latine come la X, che abbreviava la parola Xristos (Cristo), mettendo ai lati l’alfa e l’omega di cui parla Apocalisse 22,13. Indicava che Cristo stesso prendeva possesso di quel luogo.

3) La terza riflessione ci chiama in causa. Se i nostri edifici sacri si chiamano “chiese” è perché fin dall’origine sono stati percepiti come luoghi di raduno dell’assemblea (Chiesa dal greco Ekklèsia si traduce con “assemblea”). L’idea è espressa da san Paolo quando dice: «Voi siete il tempio di Dio» (1Cor 3,16). Ne deriva che non ha molto senso costruire belle chiese se poi restano vuote. Una chiesa di mattoni che non si anima riunendo la Chiesa di persone è destinata a diventare un monumento muto. La dedicazione di una chiesa-edificio o la memoria del suo anniversario rimanda dunque il mistero della Chiesa che noi siamo.

Prof. Giovanni Tangorra